Io, donna, ho proprio bisogno di qualcuno per realizzarmi?
Intervista a Valentina Picello, attrice protagonista nello spettacolo Anna Cappelli,in scena al Teatro di Ragazzola sabato 14 dicembre alle 21.15
Nel ruolo della protagonista Valentina Picello, attrice di rara intensità e straordinaria potenza interpretativa, già vincitrice di alcuni dei riconoscimenti teatrali più prestigiosi (tra gli altri Premio Mariangela Melato, Premio Duse, Premio Hystrio). Proprio a Valentina abbiamo chiesto di presentare e raccontare qualcosa in più della sua Anna Cappelli, di questa giovane donna che abbandona tutto e tutti per attaccarsi al proprio compagno in modo sempre più morboso, ossessivo, sia sul piano psicologico che economico, tessendo un legame che porterà a un finale macabro.
La tua Anna è stata definita “una Medea del Novecento”. Concordi?
“Non proprio. Sono d’accordo sulla modernità della storia, poiché le dinamiche di relazione ambientate da Ruccello negli anni ’60 sono purtroppo vive ancora oggi, ma nel caso di Anna, che arriva ad uccidere il proprio uomo, Tonino, non c’è quel desiderio di vendetta che muoveva la figura tragica di Medea. Non c’è nemmeno da parte sua un tentativo di rivalsa contro un uomo violento. Il delitto per lei sopraggiunge inconsapevolmente, come conclusione, ma sarebbe meglio dire, come apice di un’affannosa e perenne ricerca di qualcosa che sia solo suo.
Non è il sentimento a muovere Anna, ma una vera e propria ossessione sulla proprietà, sul controllo delle cose e delle persone che sono e devono essere sue. Anna cerca, attraverso un lavoro, di essere finalmente autonoma, ma per amore accetta invece la sottomissione al convivente, sprofondando poi inevitabilmente in un abisso senza ritorno. In questa versione, diretta da Tolcachir, la storia è calata nel nostro tempo, in una città come tante, e il personaggio assomiglia di più a quelle giovani donne moderne che sognano una casa tutta loro, “una stanza tutta per sé” citando Virginia Woolf”.
Quali sono le caratteristiche del personaggio che ti commuovono di più e quali, al contrario, quelle che ti spaventano di più?
“Mi commuovono quei passaggi che rivelano le sue origini umili e che chiunque provenga da una famiglia non abbiente riconosce e porta con sé per tutta la vita. Per certi aspetti come questi, ho ritrovato delle piccole coincidenze autobiografiche che mi hanno fatto ricordare i miei numerosi traslochi, la difficoltà di affezionarmi ai luoghi, alle persone.
Anna stessa è alla costante ricerca di una sua identità, che per forza deve passare dal riscoprire e riconoscere le proprie radici; anche per questo la facciamo muovere simbolicamente in mezzo a zolle di terra, quasi un non luogo dove lei evoca altri personaggi, i familiari accorsi alla veglia del cadavere di Tonino. Quello che di lei, invece, spaventa di più è l’incoscienza del crimine che quasi porta a dire: ciascuno di noi potrebbe conoscerla, incrociarla nella propria vita, ma potremmo anche essere lei”.
A chi parla, secondo te, la storia di Anna Cappelli?
“Parla sicuramente alle donne, ma in una forma non prevedibile, un po’ inaspettata perché, a dispetto del finale, non vuole essere aggressiva, bellicosa. Ciò che questo spettacolo prova a suggerire, anche attraverso momenti di surreale ironia, è una domanda: io donna ho proprio bisogno di qualcuno per farcela, per realizzarmi? Non c’è bisogno di urlare per portare a questa riflessione, per suscitare una consapevolezza che seppur dolorosa e faticosa, ci permette di fare davvero i conti con noi stesse”.
Quanto ti ha aiutato la regia di Tolcachir nel tratteggiare questo personaggio?
“Molto. Claudio ha lavorato per farmi un regalo. La sua è una regia generosa e sincera. All’inizio avevo un po’ di timore a confrontarmi con Anna Cappelli e la stessa forma del monologo non la ritenevo a me congeniale: avevo paura di sentirmi sola in scena. Alla fine ne sono rimasta conquistata.
Anna si trasforma in madre di se stessa, è come una dea che muta il suo potere, una Kore che, sprofondando metaforicamente nell’Ade, diventa Persefone: non più figlia ma donna. È un personaggio che richiama anche la Winnie beckettiana di “Giorni felici”, in questo suo abbandonarsi alla terra, ma in lei io ritrovo altri modelli archetipici, quelli che, come direbbe Jean Bolen in “Le dee dentro alla donna”, libro che adoro e a cui spesso mi ispiro, governano la sua personalità e che portando alla luce tutte le alternative le permettono di creare la sua storia”
La tragedia in questo caso si consuma su un corpo maschile. Eppure la violenza e la sofferenza sembrano essere anche qui prerogative femminili…
“Vediamo subito che questa donna è sofferente nel corpo, sempre al limite di qualcosa, sempre sul punto di piangere, di svenire. La reazione fisica è sintomatica di una sofferenza più profonda: le botte, i lividi non si vedono, ma si sentono, sono quello che rimane dentro tutte le volte che Anna si scontra con la propria dignità, con le occasioni mancate, con le aspettative fallite. Quando uccide Tonino è come se venisse attraversata da uno spasmo troppo forte. Come se quell’azione le consentisse di respirare dopo un lungo stato di apnea”
Come s’inserisce l’elemento più umoristico in una vicenda così dolorosa?
“Il testo stesso lo richiede per quella componente surreale e simbolica che lo attraversa. E poi io, come attrice, ho una spiccata cifra ironica! Mi viene naturale attingervi perché penso che la vita stessa sia tutta tragicomica, oltre la nostra volontà. Anche Anna sembra essere cosciente di questo. Non è una ingenua, vede e sente tutto, e in tanti momenti della storia saprà lei stessa fare ironia sulla propria situazione, ad esempio nei passaggi che descrivono il suo rapporto con la padrona della casa dove affitta una stanza, prima di andare a vivere da sola con Tonino”
Quale riflessione più di altre ti auguri che questo spettacolo possa lasciare nel pubblico?
“Mi piacerebbe che portasse a interrogarci di più su questa bulimia materiale di cui soffriamo oggi, sull’accumulo di oggetti e proprietà che non sarà mai in grado di riempire i vuoti psicologici, né di lenire le ferite dell’anima. Di contro sarebbe bello che suggerisse anche una riflessione sul concetto di libertà e di tempo: a volte è proprio nei tempi vuoti, liberi, che si nascondono altre possibilità. Lo sto imparando anche sulla mia pelle: prima mi sentivo viva solo sulla scena, mentre lavoravo. Oggi ho capito che il mio valore non passa solo da lì”.
Per info e prenotazioni biglietti contattare il numero whatsapp 339.5612798
WRITTEN BY
Francesca Ferrari, giornalista culturale freelance, founder del blog Teatropoli.it collaboratrice nella redazione Spettacoli di Gazzetta di Parma, responsabile ufficio stampa per diverse realtà teatrali e culturali del territorio. Su Parmaforwomen ha ideato la rubrica WTheatre, interviste a donne attrici e registe del mondo teatrale.
—
Ti aspettiamo su Parmaforwomen, entra anche tu nel team scopri come diventare una blogger P4W clicca qui