La poesia è viva, anche nell’era dei social!

“La poesia nell’era del digitale, dell’Intelligenza artificiale e degli avatar non ha perso il suo significato profondo, il suo valore salvifico. Forse è cambiata la forma, come del resto è accaduto in passato nel corso dei secoli, ma il linguaggio poetico rimane la massima espressione dell’anima e mai come oggi i giovani hanno urgente bisogno di ritrovare la propria anima, di provare emozioni, sempre più smarriti e soli come sono nei meandri ingannevoli del consumismo e dell’individualismo più sfrenato.”

Sara Ferraglia, poetessa, risponde così alla domanda che le abbiamo rivolto, all’indomani della presentazione alla Libreria Diari di Bordo della sua raccolta di poesie “Voglio una danza”, Giuliano Ladolfi Editore.

La poesia è quindi viva anche nell’era dei social?

“Certamente il fenomeno della poesia in rete è complesso e, come suggeriscono studi di sociologia e linguistica approfonditi, andrebbe affrontato da varie sfaccettature: un conto ad esempio è la poesia su Instagram e Facebook, un conto è quella delle varie riviste letterarie online e dei blog, che ancora conservano in parte la caratteristica di fruizione più lenta, tipica della carta stampata.
Tuttavia è un dato di fatto che i giovani scrivono poesia, ne hanno bisogno e lo fanno servendosi degli strumenti a loro più congeniali, per cui ben vengano i mille like su una poesia che piace, che ha emozionato, che ha suscitato dubbi e riflessioni.
La poesia è viva anche nell’era dei social, della velocità e della superficialità e la vera tragedia sarebbe che non la si praticasse più; significherebbe la morte dell’anima.”

“Voglio una danza” si sviluppa in sezioni, la prima è dedicata ai muri…

“Il muro è già di per sé divisione, noi di qua e voi al di là. Il muro segna spazi privati di esclusione dell’altro, segna confini, crea gerarchie. Ma i muri peggiori sono quelli che abbiamo dentro, a volte talmente radicati (come possono essere i peggiori stereotipi e pregiudizi) che non ne siamo nemmeno consapevoli. Le parole diventano muri, magari eretti piano piano, mattone su mattone. E lo fanno quando il linguaggio televisivo e, ancor peggio, quello dei social, anziché usare parole di pace, “parole di genere umano“, usa parole aggressive, xenofobe, razziste. E allora ci troviamo a discutere nei talk, di invasione, di sostituzione etnica, di nuovi muri per lasciare fuori i più disperati della terra. Ma abbiamo un compito, un dovere verso i nostri figli, i nostri nipoti, di trasmettere loro, insegnare loro l’umanità, altrimenti cosa risponderemo loro quando ci chiederanno “se è vero” di fronte a certi orrori.”

La tua poesia diventa spesso poesia sociale…

“Oltre ad avere per me una funzione consolatoria, assume un significato “evangelico” laico, citando Giulio Greco che ha scritto la mia prefazione. Comunico il mio “smarrimento” anche ad altri , anche a quelli che forse non si sono ancora posti certe domande, a coloro che dicono: “Ah no, io di politica non voglio occuparmi, anzi ne ho paura “, e mentre leggono certi miei versi in realtà se ne stanno occupando. Non si può “vivere senza impegno e conoscenza” ma nella complessità e nella barbarie di questi tempi, secondo me, è necessario trovare il coraggio di fare delle scelte, prendere delle decisioni, anche se sono sempre fortissimi i dubbi e rimane sempre questo dubbio del non detto, o detto male, oppure maledetto, ma dobbiamo fare il possibile per trovare le parole giuste bene – dette”.

Come entra il femminismo nella tua poetica?

“In una delle poesie racconto della mia lenta acquisizione della consapevolezza di quanto ancora sia lungo e difficile il percorso per abbattere stereotipi, ingiustizie profonde, violenze e sopraffazioni che da sempre servono al patriarcato per non morire.
Nelle mie poesie spesso diventa , aspetto fondamentale, il non lasciarci mai sole, a partire dai cortei di quello che era il femminismo negli anni 70 fino ad un più largo abbraccio che comprende le sorelle oppresse di tutto il mondo, oppure il canto potentissimo nato in Cile da alcune donne del collettivo Las Tesis, che poi ha fatto il giro del mondo puntando il dito su chi davvero fa violenza e su chi senza colpa la subisce. Consapevolezza, oltre che corale, anche come espressione di sorellanza, anche individuale quando ad esempio emerge la necessità di “Poltrona tutta per se”, che , nel riprendere il titolo di un famoso libro di Virginia Wolf, ancora una volta pone l’accento sugli stereotipi duri a morire dei ruoli definiti a priori dal genere.”

Alcune poesie della raccolta trattano molto esplicitamente il tema della libertà di decidere sulla propria vita e sulla propria morte…

“Penso a “Legge 180” che tratta del pregiudizio nei confronti di una persona uscita da un ospedale psichiatrico, oppure “Avete messo fine alla mia vita”, in cui parla un carcerato misteriosamente morto in carcere, potrebbe essere Cucchi ad esempio. Tuttavia quante altre situazioni troviamo in cui non si è più padroni della propria vita, perchè il nostro corpo viene attaccato dalla malattia (La luna all’incontrario) oppure semplicemente perchè circostanze particolarmente difficili della nostra vita ci costringono ad operare scelte che mai avremmo pensato di affrontare, ad esempio il vecchio calzolaio di paese che si ritrova a vivere in un grattacielo milanese. La società capitalista, il liberismo sempre più sfrenato ci ha resi sempre meno autonomi e consapevoli delle nostre scelte.”

Tardo autunno è la sezione dedicata alla memoria…

“Tardo autunno è la sezione in cui raccolgo alcuni ricordi di bambina e , in particolare mi soffermo sull’importanza di non rimandare, se possibile, la trasmissione del ricordo ma di farlo prima che sia troppo tardi, prima che non ci sia più il tempo. Ecco allora “Scrivile adesso a tua figlia” e La parola non detta”, riflessione sulla fretta, sui ritmi di vita che ci fanno correre e tralasciare momenti fondamentali per fissare quei ricordi. Il ricordo, è l’ultima cosa che resta a una persona anche quando la sua mente se ne va per altre strade, il ricordo, anche se confuso è spesso, specie negli anziani, il filo che tiene ancora attaccati alla vita.”

Chiudi la raccolta con le Terre di mezzo…

“Le mie Terre di mezzo sono il mio spazio profondamente laico, dove vivono indelebili figure che hanno lasciato questa vita. Non sento la necessità di raggiungerle con preghiere o riti tipici delle varie religioni. Ho scritto molte poesie su amici, parenti che sono morti e, ad esempio, nel lavoro di raggruppamento e rilettura dei testi per questa raccolta, mi sono accorta che il mio raccontare del loro viaggio, il loro essere continuamente presenti dentro di me, non ha mai avuto niente a che fare con la religione. Ho uno spirito laico, è vero anche se, ad esempio, riguardo gli ultimi sulla terra riconosco che una parte della chiesa opera in modo davvero encomiabile… ma altrettanto fanno associazioni o singoli individui profondamente laici. L’importante sono le nostre azioni, il piccolo o grande contributo che riusciamo a dare per un’umanità migliore. Qualche volta le mie poesie riescono a trasmettere messaggi necessari e utili a questo, ecco perché il mio editore in una mail ha scritto che i testi dedicati ai migranti, o agli ultimi, hanno un fascino evangelico. Eppure io sono atea.”

 

Foto credits: Fiammetta Mamoli

 

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