
Carla Soffritti, tra radici e visioni
La creatività nasce nel cuore del bosco per la fondatrice di Ella Studio digital, un’appassionata e instancabile giornalista di viaggio
C’è un luogo, nascosto tra il verde fitto di un bosco, dove le idee sembrano respirare all’unisono con la natura. È qui che Carla ha scelto di intrecciare la sua vita professionale e personale, lasciando che il silenzio degli alberi e il fruscio del vento ispirassero progetti e visioni. Con un piede ben saldo nella comunicazione d’agenzia e l’anima immersa nella forza autentica della terra.
Carla Soffritti è un’instancabile giornalista di viaggio, CEO e fondatrice dell’agenzia di comunicazione Ella Studio digital.
Vive attorniata dalla bellezza, immersa nel verde dei faggi e dei castagni del Parco regionale dei Boschi di Carrega, in provincia di Parma, che è diventata anche la sede operativa del suo lavoro. Un luogo tra casa e ufficio che sembra una dichiarazione d’intenti: restituire valore all’autenticità, alla lentezza e al fascino che non hanno bisogno di filtri. Carla infatti abita il confine sottile tra esplorazione e radicamento. Ha costruito la sua impresa nella natura, ma con lo sguardo puntato sul mondo: tra consulenze per destinazioni turistiche, SPA, consorzi, eventi, ristoranti, hotel e tour operator, la sua penna viaggia leggera, ma precisa, come una bussola che orienta, racconta e ispira.
Nel suo lavoro, la comunicazione non è mai solo marketing: è relazione, cura, visione. E così anche i suoi viaggi diventano strumenti per restituire senso e identità ai territori. In questo dialogo, Carla ci apre le porte del suo mondo fatto di boschi e mappe, di parole e ospitalità.
Carla, iniziamo dalla tua evidente passione per i viaggi. Come hai iniziato a esplorare il mondo e cosa ti ha spinto a diventare una giornalista di viaggio?
“Viaggiare per me è come respirare. Non un lusso, ma una necessità vitale.La mia storia di nomade è iniziata da piccola. I miei genitori, laboriosi e pragmatici, hanno trovato soluzioni creative per liberarsi di me durante le vacanze scolastiche: amici ospitali, colonie estive, oratori parrocchiali. Ovunque, purché fuori casa. Così, quando i cancelli della scuola si chiudevano, io ero già con la valigia in mano, pronta per nuove avventure. Poi è arrivato quel momento fortunato, quell’incontro casuale che cambia la vita. Sai quando ti trovi nel posto giusto al momento giusto? Ecco, a Bologna ho incrociato Stefano Benni, che aveva voglia di chiacchierare. Ne è nata un’intervista che ho proposto a “Epoca” (settimanale Mondadori). Pubblicato il pezzo, il caposervizio mi chiese se volessi collaborare e su quali temi. Non ho avuto un attimo di esitazione: “Viaggi!” ho risposto. E così, per anni, ho vagabondato per il mondo con il tesserino di “Epoca” in tasca, trasformando le mie esplorazioni in reportage.”
Sei una donna che viaggia per mestiere e che ha scelto di vivere immersa nei boschi. Qual è stato il momento in cui hai capito che il “ritorno alla natura” era così forte?
“È il Richiamo del Bosco. Sì, sono attratta dagli alberi sin da piccola. Ricordo l’insistenza con cui tormentavo mio padre: «Dai, papà, andiamo a prenderli». Avevo letto che la Regione Emilia-Romagna distribuiva gratuitamente giovani piante. Erano poco più che fili d’erba, quei primi arbusti. Li piantammo insieme in un fazzoletto di terra nella piatta campagna ferrarese. Oggi sono diventati un boschetto, proprio dietro alla casa dei miei genitori.
I miei viaggi hanno una bussola verde che punta invariabilmente verso giardini botanici nelle metropoli o foreste nei luoghi più remoti. La Cloud Forest di Singapore, con la sua nebbia artificiale e il suo futuro ecologico; l’eleganza aristocratica delle serre reali di Bruxelles; Taman Negara in Malesia, foresta pluviale così antica da far sembrare giovane l’Impero Romano. E poi la biodiversità del Costa Rica. Le lacrime – sì, proprio quelle, e non me ne vergogno – sono arrivate ai piedi delle sequoie giganti in California. Di fronte a quegli alberi monumentali ci si sente meravigliosamente insignificanti. Come davanti ai cipressi millenari sull’Altopiano del Tassili in Algeria, alcuni dei quali celebrano compleanno numero 4000.”
Oggi vivi nel Boschi di Carrega…
“Il destino, questo sceneggiatore bizzarro, mi ha condotto ai Boschi di Carrega. Un amore a prima vista, presentato da Stefano, mio marito. Ma allora non eravamo nemmeno fidanzati. “Una casa qui?” pensai. Un sogno irraggiungibile per le mie finanze da giornalista. Ma la vita, quando vuole sorprenderti, lo fa con una serie di coincidenze così precise da sembrare ordinate. Anzi pre-ordinate. E così, contro ogni previsione ragionevole, ci sono riuscita a comprare una casa ai Boschi di Carrega.
Oggi viviamo felicemente in questo bosco. Una piccola tribù composta da me, mio marito Stefano, nostra figlia Sofia, due cagnoni (Zeus e Zaira), un coniglietto Ariete (Mocha) e l’ultimo arrivato: un gattino nero (Hoshi). E qui, circondata dai miei amici alberi, ho scoperto la più semplice delle verità: a volte, per andare lontano, basta restare fermi nel posto giusto.”
Cosa rappresenta per te “casa”? Qui, ha sede anche la tua agenzia, giusto?
“Cos’è la casa? Per me è sinonimo di accoglienza. Una parola che fa sorridere (e alzare gli occhi al cielo) mio marito e nostra figlia quando, durante i nostri viaggi, mi lancio nell’ennesimo invito a perfetti sconosciuti: «Ma venite a trovarci. Siete i benvenuti».
Non posso farci nulla. Amo condividere. Non solo gli spazi, ma esperienze, storie, prospettive. Quando intuisco che l’altro ha qualcosa da insegnarmi, scatta immediato l’invito. «Perché non continuiamo questa conversazione a casa nostra?» E così la nostra tavola si è popolata nel tempo di accenti stranieri, professioni curiose, racconti incredibili.
E poi nel Bosco ho avverato un sogno: la casa sull’albero. È nata come un dono per Sofia, questo dicevo a tutti. Ma anche Sofia, crescendo, ha compreso che forse ho inseguito più una mia emozione personale. Ogni tanto ci salgo in silenzio. Da lassù, sospesa tra cielo e terra, riesco a guardare i problemi con occhi diversi. Come se la distanza fisica creasse anche una distanza emotiva.
È diventato il mio ashram personale, un piccolo tempio tra le foglie dove il tempo scorre diversamente. Dove posso ascoltare il mio respiro mescolarsi con quello degli alberi.
Nel Bosco ho anche ricavato il mio ufficio: Ella Studio. Scrivere guardando fuori dalla finestra e vedere alberi anziché cemento rende tutto più facile.
Una casa nel bosco con Wi-Fi veloce, un tavolo sempre apparecchiato per ospiti inattesi e io che “colleziono” storie. Non tutti capiscono questa mia vocazione all’accoglienza, questa porta sempre aperta. Ma in fondo, che cos’è una casa se non un luogo dove le vite s’intrecciano, anche solo per il tempo di una tisana?”
La tua agenzia si chiama “Ella Studio”. Da dove nasce questo nome?
“Ella? Non è un vezzo, né un diminutivo. È un omaggio per una donna straordinaria: Ella Maillart. Per me la più seducente viaggiatrice-scrittrice del Novecento europeo.
Non che sia il suo stile di scrittura ad avermi conquistata. È piuttosto l’audacia della sua vita: una donna che viaggiava da sola o in compagnia dell’altrettanto affascinante Annemarie Schwarzenbach. Quando le signore per bene prendevano il tè in salotto e discutevano dell’ultimo cappellino alla moda, loro attraversavano continenti.
Recentemente l’UNESCO ha inserito i fondi di entrambe nel registro “Memoria del mondo”. Due donne che hanno sfidato convenzioni e frontiere, armate solo di passaporto, macchina fotografica e taccuino.
Il mio studio porta il nome di Ella come un talismano. Non serve attraversare l’Afghanistan in automobile (come fece Ella Maillart nel 1939) per essere esploratori: a volte basta guardare oltre la finestra con occhi nuovi.
Ecco perché Ella Studio. Un piccolo tributo a una grande donna, una di quelle che hanno aperto strade dove c’erano solo sentieri. O spesso, nemmeno quelli.
Nel tuo lavoro di giornalista di viaggio, cosa cerchi davvero nei luoghi che racconti?
Profondità. Con il passare degli anni – e di frontiere, aeroporti, alberghi – ho capito che l’autenticità di un luogo è come un buon vino: ha bisogno di tempo per rivelarsi. I viaggi-lampo, quelli mordi-e-fuggi, sono diventati la norma: scatta, posta, riparti. Viaggi concepiti per essere consumati alla velocità di uno scroll su Instagram.
Io ho bisogno d’altro. Cerco una relazione con i luoghi. Concedermi il lusso della lentezza, la gioia di parlare con i vecchietti seduti sulla panchina, per esempio.
Per questo, quando posso resto a lungo nei luoghi che visito. E ho sempre un bosco dove tornare.”
Come cambia il tuo sguardo da viaggiatrice quando sei anche promotrice di destinazioni e consulente? C’è un confine tra la narrazione e la promozione, o li fondi in una sola visione?
Tengo ben separate le mie due vite. Come chi ha una doppia cittadinanza e due passaporti, io ho due identità professionali che non devono mai condividere lo stesso spazio.
Da una parte c’è la giornalista di viaggio: quella che osserva, annota, resta incantata. Quella che si perde nei vicoli di Scicli o si unisce a una famiglia che fa picnic su una spiaggia di Mauritius. Quella che cerca l’anima dei luoghi sotto la superficie turistica.
Dall’altra c’è la responsabile di Ella Studio: quella che progetta, organizza e crea incanto per gli altri.
Le due strade non devono incrociarsi. Non per snobismo professionale, ma per una questione di purezza d’intenti.
C’è stato un viaggio che ti ha trasformata, particolarmente ispirata o che ti ha lasciato un’impronta indelebile?
“Il prossimo viaggio.”
Nella tua esperienza di imprenditrice, sei stata costretta a riscrivere le regole del “femminile” nel lavoro, soprattutto in contesti ancora guidati da logiche maschili? E se sì, in che modo?
“Nella mia esperienza di imprenditrice sono stata fortunata. Ma quello che mi irrita sono i famigerati “tavoli dei relatori”. Li conosci, no? Gli esperti sono quasi sempre tutti uomini. Mi verrebbe da alzarmi e chiedere: «Scusate, le esperte erano tutte impegnate a stirare oggi?». Non lo faccio per educazione, ma lo penso. Eccome se lo penso.
La mia piccola vendetta? Quando nel mio lavoro mi chiedono di suggerire nomi per incontri, convegni o altro (succede spesso), privilegio sistematicamente le scelte al femminile. Non per una questione di quote rosa, ma perché conosco donne straordinarie che meritano quei palcoscenici.”
Com’è cambiata nel tempo la tua idea di leadership? Che tipo di CEO sei oggi?
“Leadership? Ma quale leadership! Non mi sono mai sentita una capa, figuriamoci una leader.
Anzi, il mio vero talento – se posso concedermi un pizzico di vanità – è quello di circondarmi di colleghe e colleghi molto più bravi di me. Gente da cui c’è tantissimo da imparare.
A proposito di imparare. Un’ora ogni settimana, sempre, ci riuniamo in call per studiare qualcosa di nuovo. Un’ora che “regalo” al mio team.
Mi considero un’eterna allieva. Tra poco, per esempio, frequenterò un corso di scrittura creativa con la scrittrice Laura Imai Messina. Non vedo l’ora! Sono emozionata come una bambina davanti a una fetta di torta. Lo confesso, ho ancora una fame insaziabile di conoscenza. Forse è questo il mio piccolo contributo alla leadership: dimostrare che si può guidare restando eternamente allievi. Un ossimoro? Può darsi.”
Cosa pensi dell’“iper-narrazione” del turismo? Come si può comunicare un territorio senza trasformarlo in una cartolina vuota?
“Nel mio piccolo universo professionale, ho stilato una lista nera di termini che considero tabù. Parole che segnerei con la matita rossa se fossi una maestra elementare.
Quali sono queste parole da esilio? “Natura incontaminata”, “paesaggio mozzafiato”, “dotato di tutti i comfort”. Solo a sentirle, rabbrividisco come se qualcuno avesse trascinato le unghie sulla lavagna.”
Se potessi far viaggiare una persona in un solo luogo che ti rappresenta davvero, dove la porteresti e perché?
“Non è importante la meta. Potrebbe essere il mio amato bosco, ma anche un caffè affollato di San Diego, una sperduta spiaggia greca o una stazione ferroviaria in un giorno di nebbia padana. Il “dove” è secondario.
Quello che conta è come ci si muove in quel luogo. Con quale atteggiamento. Vivere quel luogo con animo aperto, accogliente, rispettoso e prudente.
E soprattutto, viverlo con profondità. Non attraversarlo distrattamente come si scorre un feed sui social. Ma immergersi. Assaporare. Osservare. Ascoltare. Annusare.”
Se invece dovessi raccontare te stessa senza parole, ma solo con una stagione dell’anno quale sceglieresti?
“Primavera nel nostro emisfero e l’Autunno nell’emisfero australe. Cioè l’eterna primavera.”
Qual è il progetto o il sogno che ti piacerebbe realizzare nei prossimi anni, sia a livello personale che professionale?
“Non ho mai separato la vita professionale da quella personale – sarebbe come dividere l’onda dal mare. Forse quello che sempre di più sto cercando di fare è lasciare un segno concreto. Come quella volta a Mauritius, che ho pulito un bosco dai rifiuti.”
Infine, quali consigli daresti a una donna che vuole intraprendere una carriera nel settore del turismo e della comunicazione, specialmente se ha una passione per il viaggio e la scrittura?
“Suggerirei di coltivare l’indipendenza. Poi il resto arriverà.”
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Puoi seguire le avventure di Carla su:
Sito agenzia: Ella Ufficio Stampa Digital PR Strategie di digital marketing sui social media Parma
Instagram: @carla.soffritti
Facebook: www.facebook.com/carla.soffritti
Foto credits Ella Studio
WRITTEN BY
Cecilia Vecchi, si occupa di comunicazione, è content writer e gestisce progetti audiovisivi. Si divide tra Italia e Spagna. Da sempre ama viaggiare perché partire è la più bella e coraggiosa di tutte le azioni, odora di libertà, vuol dire conoscere e scoprire, vedere nuovi posti per tornare con nuovi occhi. Anche scrivere è viaggiare: un’evasione senza l’ansia degli orari e il disturbo dei bagagli. Per Parmaforwomen cura la rubrica Donne in viaggio
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