RITRATTI/Chiara Allegri e il mondo degli eventi culturali

Direttrice del Museo d’Arte Cinese ed Etnografico, presidentessa di ParmaInfanzia, professoressa all’Università di Brescia, studentessa all’Università Sapienza di Roma e di recente anche autrice di un libro dedicato al mondo degli eventi culturali. Chiara Allegri, a soli 42 anni, ha già alle spalle una brillante carriera, maturata in quasi vent’anni di esperienza sul campo. 

Le chiedo se possiamo vederci in museo per realizzare l’intervista, ma la risposta mi lascia spiazzata: «meglio di no, ho preso due mesi di aspettativa.»

 

E allora è necessario partire qui. Dopo cinque anni alla guida del Museo Cinese, cosa ti ha spinta a prendere questa decisione?

 

«È stata una scelta agro dolce, che nasconde uno spirito positivo. Dopo anni vissuti con grande velocità e passione, sentivo il bisogno di fermarmi un attimo e fare il punto sulla mia vita professionale. Non nego che mi sono dovuta fermare anche perché sono venuti a mancare dei fondi, per scelte prese dalla proprietà del museo, e questo ha causato il blocco in corsa di molti miei progetti. Non vivo però questo aspettativa come un momento d’ozio, voglio iniziare a scrivere un nuovo libro, preparare due esami e le lezioni universitarie che dovrò tenere durante il prossimo anno accademico all’università di Brescia. A livello intellettuale sarò comunque molto attiva.»

 

Ad oggi qual è il ruolo che senti più tuo?

«Mi sento “professionalmente a casa” nel contesto dell’università, intesa proprio nel senso di universitas: un insieme di più cose, un mondo enorme, fatto di libri, monografie, contenuti, slide che studio o che preparo. Nel contenuto culturale in questo momento sento di trovare un forte stimolo e un grande rifugio, indipendentemente dal ruolo che rivesto.

 

“La cultura tra le mani” è il titolo della tua guida pratica ed esperienziale al mondo degli eventi culturali, come è nata l’idea? 

«Il progetto è scaturito da una necessità. Ho partecipato ad un bando pubblico per insegnare all’università di Brescia e dal mio dipartimento mi avevano chiesto un elenco di libri su cui gli studenti avrebbero potuto studiare per il mio corso. Non riuscivo a trovare un libro che parlasse del mondo del marketing culturale in modo umano ed esperienziale. Trovo che soprattutto i libri americani trattino il tema in modo molto asettico e interscambiabile con qualsiasi altro tipo di marketing, di servizio o di prodotto ad esempio. Incoraggiata dalla casa editrice e da una mia collega all’università, molto esperta di didattica, ho iniziato a scrivere. Con il mio libro ho voluto dare un taglio molto umano e pratico della materia, perché tutto quello che riguarda la valorizzazione dei beni culturali l’ho davvero toccato con mano. In chiave più ampia, penso di avere l’età in cui si ha il dovere sociale di restituire qualcosa. Io ho fatto tanta fatica per imparare sul campo alcuni principi, metodi, valori, era arrivato il momento di condividere con gli altri il mio know how.»

 

Fase ideativa, costruzione del budget, organizzazione, comunicazione, rete relazionale. Sono solo alcuni degli aspetti che deve gestire un professionista della cultura. Qual è quello che ti appassiona di più? 

 

«La creazione dei programmi artistici è la parte che in questo momento mi sta interessando maggiormente, perché gli aspetti prettamente organizzativi li conosco, mi sono famigliari ma raramente mi svelano qualcosa di nuovo, invece lavorare sui contenuti, scoprire quali sono i pubblici per determinati argomenti o viceversa interrogarmi sul tipo di pubblico che ho davanti, questo è ciò che desta maggiormente il mio interesse e mi ha portata anche ad iscrivermi ad un Corso di Laurea alla Sapienza di Roma in “Storia, antropologia e religioni”, proprio per essere più puntale sui contenuti che propongo.»

 

Non solo professionista in carriera ma anche mamma di due bambine. Conciliare vita privata e vita lavorativa si può? 

 

«La fase della prima infanzia delle mie figlie è stata la più difficile in termini di conciliazione, anche perché avevo scelto di allattare. Adesso il carico è meno pesante, resta molto impegnativo ma ho mio marito e i miei genitori che mi aiutano. Senza queste mie due famiglie sarebbe stato per me impossibile continuare a lavorare.»

 

La qualità che più apprezzi nelle persone? 

«La disponibilità a mettersi in discussione, la non staticità, il non avere pregiudizi. Ascoltare, rimodulare il pensiero, porsi il dubbio è un grande plus che fa arrivare a conclusioni migliori, questa è una grande qualità.»

 

Hai fatto tantissimo, c’è qualcosa che non rifaresti? O faresti diversamente?

«Non c’è qualcosa che non rifarei, ma rimarrei più a lungo all’estero. Ho vissuto un periodo di studio e stage lavorativo a Parigi, ho respirato lo stile di vita di in una città cosmopolita che mi ha dato tanto, se tornassi indietro resterei più tempo, anche per godermi le tante opportunità che una città così ha da offrire.»

 

A un giovane che volesse intraprendere il tuo lavoro cosa suggeriresti?

«Il mio percorso è stato tortuoso, ho un curriculum eterogeneo. Ad un giovane consiglierei di seguire un iter più lineare e di studiare in modo metodico e sistemico, perché diversamente non si hanno contenuti da mettere nelle programmazioni. Lo inviterei anche a concentrarsi su studi umanistici, perché le tecniche si apprendono, mentre sui grandi contenuti storici e umanistici bisogna continuare sempre ad approfondire.»

 

Se chiudi gli occhi, nel tuo prossimo futuro cosa vedi? 

«Una nuova casa, un nuovo libro, riprendere a fare sport in modo agonistico e nuove entusiasmanti sfide lavorative.»

 

Written by

Francesca Costi, giornalista ed organizzatrice di eventi culturali. Amante dell’arte e del teatro, ha fatto delle sue più grandi passioni un lavoro.

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